Mark Watney è un adorabile cazzone arruolato dalla NASA nel team destinato a raggiungere ed esplorare Marte. Statunitense nel midollo, botanico per studi, ingegnere meccanico e ripara-tutto per vocazione, il suo destino è nelle retrovie della Ares 3, almeno fino a quando una tempesta di sabbia costringe la NASA ad abortire la missione e i compagni di Mark ad abbandonarlo, privo di segnali vitali, sul pianeta rosso, mentre rientrano in orbita e si dirigono verso la Terra.

Cosa ci può essere di peggio dell’essere il primo cadavere umano su suolo marziano, trafitto al fianco dai resti di un’antenna radio volata via nella tempesta? Per esempio essere il primo terrestre “marziano” per impossibilità di vie di fuga, bloccato su Marte per un tempo indefinitamente lungo e quasi certamente mortale, con l’unico mezzo per comunicare con i compagni e con la NASA conficcato nel fianco. L’antenna radio ha ferito Mark di striscio e il sangue coagulatosi per le basse temperature ha bloccato la perdita d’ossigeno della tuta, evitandogli la prima di una serie di morti più o meno dolorose che lo aspettano: finire il cibo e l’acqua sembra nettamente più probabile a livello statistico che rimanere senza ossigeno, ma un improvviso guasto potrebbe presto tornare a far girare la roulette delle possibili fini premature del novello marziano, come il protagonista appunta dopo una lunga serie di calcoli sul suo diario.

The Martian è proprio l’insieme delle riflessioni giornaliere di questo moderno Robinson Crusoe, un racconto scientificamente ineccepibile e genuinamente divertente che è riuscito nell’impresa di convincere gli appassionati più puntigliosi di hard science fiction (la fantascienza dura, quella che si attiene più rigorosamente ai dettami scientifici) e il pubblico più lontano dal genere fantascientifico. Come ha fatto un esordiente di nome Andy Weir, informatico appassionato di viaggi spaziali e astrofisica, a superare quella che sembrava terra bruciata, un confine invalicabile tra lettori di genere e lettori “e basta”?

Non è semplice fornire una risposta, soprattutto valutando i numeri impressionanti di questo successo. Andy Weir comincia a lavorare al suo libro con lo stesso metodo dei fondatori del hard science fiction, come lui scienziati, fisici, esperti di numeri e calcoli vari. Questo particolare filone nacque nell’epoca d’oro della fantascienza, il primo dopoguerra, quando scienziati e studiosi si dilettavano in sfide letterarie per perseguire particolari what if (cosa succederebbe se?) fino a costruire straordinari mondi letterari.
Cosa accadrebbe se una forma di vita sopravvivesse su un pianeta a gravità 400?
Cosa accadrebbe se l’uomo riuscisse a viaggiare a una velocità vicina a quella della luce? Cosa accadrebbe se l’uomo entrasse in contatto con un’astronave di una razza aliena così avanzata da essere incomprensibile con il nostro attuale livello di conoscenze scientifiche?
Queste sono solo alcune delle grandi domande a cui tentarono di rispondere altrettanti improvvisati scrittori, applicando la loro immaginazione sempre all’interno dello scientificamente plausibile e generando altrettanti capolavori.

L'uomo di Marte-1

Andy Weir cominciò a lavorare nel 2009 al suo personale what if: cosa succederebbe se un astronauta si trovasse da solo su Marte, senza possibilità di comunicare con la terra? Il metodo è lo stesso di mezzo secolo fa, ma il mondo editoriale (e non solo) è radicalmente diverso. Vistosi rifiutare il manoscritto da parecchie case editrici, Weir reagisce con un’alzata di spalle e comincia a pubblicarlo, un capitolo alla volta e in maniera totalmente gratuita, sul suo blog. Ben presto qualche lettore gli chiede di caricarlo su Amazon per praticità: Weir accetta e lo fa al minor prezzo possibile, 99 centesimi di dollaro. Pochi mesi dopo ha venduto 35000 copie digitali, è in cima alla classifica di vendite di ebook fantascientifici e alla sua porta sta bussando la Crown Publishing con un assegno a sei cifre.
Il successo però si trasforma da locale a globale con la vendita in 30 nazioni dei diritti di pubblicazione e con l’arrivo di Ridley Scott (bollito come regista, ma ancora provvisto di un ottimo fiuto da produttore), che opziona i diritti cinematografici ed è già pronto a presentarci il suo adattamento filmico con protagonista Matt Damon (mio commento a caldo: MACCOSA!?) a fine 2015.

Quest’ultimo passaggio è il più strabiliante, il tassello mancante che non è riuscito completamente nemmeno ai numi tutelati del genere fantascientifico odierno. Perché Weir ce l’ha fatta dove tanti scrittori di successo di sono fermati alla notorietà tra appassionati? Come sempre è una domanda parzialmente senza risposta: come tutti i libri appassionanti (o come dicono gli inglesi, i page turner) The Martian ha quel non so che che rende davvero difficile chiuderlo e dedicarsi ad altro, prima di rispondere alla fatidica domanda: riuscirà Mark a salvarsi?

Forse è proprio nel passaggio da what if scientifico al più classico “riuscirà il nostro eroe?” dei grandi protagonisti in difficoltà che usano l’ingegno (McGuyver, Crusoe, su su fino a Ulisse), che va ricercata la popolarità del titolo. La caratteristica più distintiva di Mark è appunto “l’ingegno multiforme”, la capacità di inventarsi una soluzione ora alla buona, ora assurda, ora decisamente folle, fino a superare una mole infinita di problemi. Dapprima la mancanza di cibo sul lungo periodo, che lo porta a creare la prima coltivazione di patate su Marte, poi la possibilità di spostarsi a medio raggio, che lo porta a “pimpare” uno dei rover della missione, via via fino al quesito principe: come comunicare con i cervelloni giù alla NASA per risolvere il problema più difficile di tutti, il ritorno a casa? La strada del marziano non è priva d’intoppi ed incidenti, ma su tutto regna la sensazione, talvolta fastidiosamente surreale, che Mark non sia mai davvero in pericolo, perché è solo questione di righe prima che arrivi alla soluzione successiva.

L'uomo di Marte-2

Se la storia conosce un notevole crescendo drammatico e Andy Weir è davvero preciso al millimetro nel rilanciare sulle difficoltà e sugli obiettivi del suo naufrago spaziale, il limite del libro è curiosamente simile a quello dei suoi avi nell’epoca d’oro. Torniamo all’adorabile cazzone di cui sopra: il pregio e il limite dell’esordio di Weir si consuma dentro la scatola cranica di Mark, un 30enne americano che non sembra conoscere prostrazione, terrore, solitudine o paura, se non di fronte alla possibilità di essere bloccato su Marte con a disposizione solo un’intera collezione di musica disco e terribili show televisivi anni ’70. Lo spirito propositivo di Mark è troppo efficace, troppo repentino, troppo funzionale alla trama per riflettere l’inesprimibile terrore di morire a milioni di chilometri dall’essere umano più vicino, per deprivazione di aria, acqua o cibo. Mark, e ancor di più gli altri personaggi di contorno (della missione Ares e della NASA), sono figurine che esprimono lampi di emozione (paura/fiducia/coraggio/ironia) di un’unica, intensa gradazione, e mai contemporaneamente, e solo per consentire lo sviluppo narrativo.
Il che è più o meno quello che si è sempre contestato alla fantascienza “dura”: di perdere per strada la letterarietà (e in molti casi di essere anche ostica e poco scorrevole), perché troppo concentrata sull’obiettivo della plausibilità scientifica come unica meta importante. La posizione di Weir rispecchia più o meno consciamente quella di un notissimo scrittore di SF contemporaneo, tra i blogger più influenti degli Stati Uniti: John Scalzi, uno dei pochi che negli ultimi anni è riuscito ad uscire un po’ dai confini del genere, anche se in maniera molto più tenue di Weir. Se Andy Weir è arrivato all’ambita meta, in molti passaggi del suo romanzo si respira più o meno coscientemente l’influenza dello stile scanzonato, molto maschile e “geeky” di Scalzi, tanto che Mark è indistinguibile dall’eroe scalziano classico: un’adorabile cazzone, appunto, contornato da comprimari più o meno utili al raggiungimento di uno scopo.

Lo scalzismo e i suoi epigoni, come Weir, stanno portando una buona fetta della fantascienza più popolare ad affrontare un curioso loop temporale, capace di avvicinarla all’esordio del genere, che viveva di avventure fantastiche ed incalzanti, piene d’inventiva ma molto spesso di scarsa letterarietà, più esperienze di letture affascinanti che contenuti capaci di lasciarsi dietro una scia nella mente del lettore. The Martian è proprio questo: un’incredibile viaggio su Marte, appassionante in prima battuta ma così ingenuo ed esplicito nel suo messaggio finale e così inconsistente a livello letterario che la prima tempesta di sabbia cancellerà quasi completamente le tracce lasciate dalla sua lettura.

L’edizione italiana, tradotta da Tullio Dobner e pubblicata da Newton Compton, è per una volta all’altezza dell’originale: illustrazione di copertina originale, titolo il più simile possibile alla versione inglese, traduzione chiara e leggibile (ma ancora non priva di regionalismi e qualche typo sul finale) e soprattutto, prezzo più che competitivo: 9,90 euro per l’edizione con copertina rigida.

Purtroppo John Scalzi non ha avuto la stessa fortuna nel suo arrivo in Italia, ma nel caso foste interessati, il titolo migliore da cui cominciare è Uomini in rosso , edito da Urania e al momento disponibile solo in formato digitale.

cover l'uomo di marte



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, , ,
Similar Posts
Latest Posts from Players

Comments are closed.